lunedì 27 giugno 2011

Dissertazioni filosofiche e antitesi sull'HIV

Cominciando dall'inizio, da quando fu scoperto il virus dell'immunodeficienza acquisita, da quando venne  eplicitato che la debilitazione fisica portava alla malattia decretata come AIDS e che,finalmente, si diede un mome a quella eclettica termodinamica enunciandola col Verbo HIV, l'homo sieropositivus, figlio naturale dell'evoluto homo sapiens,  mise in atto le proprie difese intellettuali aprioristicamente evolvendo nonché reinventando la propria psicologia. Se i dubbi nascono a priori perché alienarsi portando la mente a un labirinto schizofrenico? Non viene spontanea la fatalitá lasciando raffreddare l'atomo cervello? È umano lo spavento ma è irrazionale che esondi in uno splin poiché il postulato HIV è apodittico e perciò valutabile. Bastava analizzare i dati mediatici nonché gli articoli didattici espressi da una stampa preconcettosa, per rendersi conto che tutto passava di puro esibizionismo. Si è venuti subito a conoscenza, anche senza il web, ma con l'informazione libera che esisteva negli anni ottanta, che la preoccupazione di un virus che non si sapeva da dove venisse e che infettava solo due categorie di persone, i passivi sessualmente e i tossici scambisti di sangue, era una fobia palliativa poiché, se la si rapportava a tutti i rapporti promiscui che la rivoluzione sessuale degli anni sessanta aveva innescato, si deduceva subito una manifestazione allarmista e schizoide di un uomo che deificava una apocalisse: ricordiamoci che c'erano molte teorie sulla fine del mondo dell'anno 2000.

L'uomo ha sempre convogliato le sue credenze nonché fede in quel moralismo identificato nella religione o Stato. Sia il laico che il credente hanno sempre derubricato il loro potere a associazioni ambigue e perciò sono stati inficiati di dogmi antietici. Se ora ci ritroviamo a combattere con pregiudizi o preconcetti, quando non ci si imbatte nella vera discriminazione che sfocia nelle fobie e in tutte quelle manifestazioni antropologiche di cui l'uomo è portatore genetico, lo dobbiamo a anni di oscurantismo intellettuale nonché condizionamento delle azioni o comportamenti. Se la mente  elabora una controdifesa psicologica, credendosi portatrice del sapere, poiché l'ignoranza è il nemico principale di tutte le teorie, è solo in funzione di un vivere sereno e lontano dai problemi. Problemi che sempre verranno a disturbare l'operato di una vita dignitosa,  per il fatto che i Sieropositivi  non appartentengono a una classe sociale maggioritaria. L'homo sieropositivos non deve pensare che il mondo attorno a lui sia malvagio ma deve contabilizzarsi come un estraneo tra i quasi perfetti. Anche Aristotele sosteneva l'eliminazione di bambini "difettosi". Non siamo al barbaro se pur colto Aristotele ma, per difenderci, abbiamo elaborato vari sistemi. Se la famiglia è la prima barriera da superare e, non ci sono le premesse per cambiarla,  rimane solo lasciare usi costumi e comoditá e affrontare il mondo con la lancia in resta. D'altra parte, il nostro sistema genetico è per il 30 per cento non genitoriale. Se poi uno di quei due che ci hanno creato se ne va, ed entra in famiglia un alieno, la discutibile filogenesi entra in crisi. Le altre battaglie arrivano conseguentemente appresso poiché la società é foriera di malizia e, il soccombere come il plagiarsi, induce la psiche a un deterioramente alienante insufflando la depressione. Tutto nasce in noi e con noi. Le elaborazione psicoconcettuali, a mio avviso, servono ai deboli di spirito o alle persone che ancora vivono in "governance